Ho passato trent'anni a progettare sistemi, gestire processi, portare ordine nella complessità. Ufficiale dell'Aeronautica in gioventù, poi project manager, consulente, formatore. Ho attraversato organizzazioni pubbliche e private, visto funzionare o implodere decine di strutture, imparato che il metodo serve solo se sa adattarsi al disordine reale.
Scrivo su Stultifera Navis perché credo che il pensiero organizzativo non possa essere separato dal pensiero critico. Troppo spesso il management si riduce a ripetizione di formule vuote, e la riflessione filosofica resta sospesa in aria senza toccare il mondo concreto. Io cerco di tenere insieme rigore operativo e profondità di analisi: capire come funzionano le organizzazioni, perché falliscono, cosa significa davvero "governare" processi fatti di persone, non solo di procedure.
Non ho modelli da vendere né verità da difendere. Mi interessa osservare, smontare, ricostruire. Vedere cosa resta in piedi quando togli le retoriche.
Qui scrivo di metodo e caos, di governance e resistenza, di come si naviga la complessità senza fingere che sia semplice. Se cerchi ricette preconfezionate, non è il posto giusto. Se ti interessa capire come stanno davvero le cose, forse sì.
La sfida della (auto)coscienza: intelligenza artificiale e produzione di senso
L'intelligenza artificiale contemporanea ci pone di fronte a interrogativi fondamentali sulla natura della mente e della coscienza. Dagli anni Ottanta, programmi come BACON di Langley, sviluppato per simulare la scoperta scientifica attraverso l'analisi di dati numerici, e SME (Structure-Mapping Engine) di Gentner, progettato per modellare il ragionamento analogico umano, hanno tentato di riprodurre computazionalmente funzioni cognitive complesse. Tuttavia, questi sistemi operano su rappresentazioni già strutturate, eludendo il problema cruciale di come la mente costruisca significato a partire dall'esperienza grezza. Questo articolo esplora l'ipotesi che l'autentica agenzia cognitiva richieda una funzione sintetica capace di unificare percezione e concettualizzazione sotto un'identità soggettiva. Attraverso l'analisi critica dei modelli computazionali attuali e il confronto con dispositivi meramente reattivi, argomento che il problema della coscienza artificiale non può essere risolto solo mediante l'incremento della sofisticazione algoritmica, ma necessita di un ripensamento radicale della natura stessa della soggettività e dell'esperienza cosciente.
Rendere invisibile un genocidio
Non è il silenzio che colpisce, ma la retorica che si sostituisce alla verità. Gaza viene distrutta, centimetro per centimetro, ma nei giornali, nei telegiornali, e nei comunicati delle cancellerie di stato si parla d’altro. Si parla di “conflitto”, come se ci fosse simmetria tra chi bombarda e chi fugge. Si parla di “reazione”, come se la distruzione sistematica di una popolazione potesse essere iscritta nel diritto alla difesa. Nessuno parla di genocidio. Non è un termine vietato, ma è come se lo fosse: troppo preciso, troppo compromettente. È questa la forma più moderna della menzogna: non negare i fatti, ma sbriciolarli. Isolarli. Disinnescarli. Una bomba su un ospedale diventa “un episodio”; cento bambini morti, “una tragedia”; la fame imposta, “una crisi umanitaria”. Le parole diventano prudenti, sfumate, come se avessero paura. O come se sapessero troppo.
Vite infinite, morti sospese: il lato oscuro della memoria digitale
La morte non è più soltanto un evento biologico o un fatto intimo da elaborare nel silenzio del lutto. Nell’era digitale, le tracce che lasciamo online sopravvivono a noi stessi: profili social, chat, immagini, archivi che continuano a parlare anche quando la vita si interrompe. Tecnologie emergenti trasformano questa eredità immateriale in presenza attiva, attraverso avatar, chatbot e piattaforme che promettono di mantenere vivo il legame con chi non c’è più. È un cambiamento che solleva domande profonde: fino a che punto siamo disposti ad affidare la memoria e la nostra identità a una macchina? E cosa accade quando il confine tra ricordo e simulacro diventa sempre più sottile, confondendo vita, morte e persistenza digitale?
L’illusione della proprietà digitale e la costruzione condivisa del sapere
La crescita della subscription economy ha cambiato il nostro rapporto con libri, musica e film: non li possediamo più, li noleggiamo. Un ebook su Kindle può sparire da un giorno all’altro, una serie scomparire da Netflix, una canzone venire rimossa da Spotify. Dietro l’apparenza dell’acquisto si cela un accesso temporaneo, fragile, soggetto a condizioni che non controlliamo. In questo contesto, Stultifera Navis propone un modello diverso: ogni articolo, affiancato da un libro suggerito nella Stultifera Biblio, diventa un pezzo unico che autore e lettore costruiscono insieme. Non un consumo rapido, ma un possesso che dura nel tempo e diventa parte della nostra identità.
Genealogia dell’ecointelligenza: una ricerca tra cognizione, sistemi e potere
Questo articolo nasce da un percorso di ricerca personale sul concetto di ecointelligenza, intesa non come attitudine soggettiva ma come campo sistemico in trasformazione. Dalla psicologia cognitiva di Gardner alla pedagogia ecologica di Bowers, fino alla critica geopolitica dell’intelligenza artificiale in chiave postdigitale, il testo ripercorre le tappe di una riflessione che oggi trova nuovi campi di applicazione: IA ambientale, sorveglianza urbana, modelli cognitivi estrattivi. In questa prospettiva, l’ecointelligenza si configura come capacità di leggere ambienti ibridi, accettarne le contraddizioni e agire senza scorciatoie. In chiusura, si suggerisce la lettura di Le tre ecologie di Guattari, testo chiave per ripensare il rapporto tra ecologia, soggettività e potere.
Intelligence offensiva: il metodo, non il mito
Ci sono libri che si leggono per svago e libri che si consultano per necessità. Poi ci sono quelli che si comprano per curiosità, e finiscono per lasciare un segno inatteso. Le Renseignement Offensif di Philippe Dylewski rientra in quest’ultima categoria. Non è una raccolta di aneddoti da spionaggio né un manuale scritto per specialisti. È un compendio di tecniche, strumenti e mentalità per cercare, verificare e usare informazioni in modo strategico. Non mi occupo più di OSINT dai tempi del mio congedo dall’Aeronautica Militare, ma il tema continua ad affascinarmi per la precisione metodologica che richiede. In Italia ho potuto conoscere e imparare da Giovanni Nacci, amico e ufficiale in congedo anche lui (Marina Militare), oggi il principale punto di riferimento in Italia per quanto riguarda la divulgazione sull’OSINT: capace di parlare a professionisti e pubblico generalista con lo stesso rigore che contraddistingue chi ha indossato una divisa.
Ritmi di sviluppo software: una prospettiva cinese per il management dei progetti IT
Chi lavora nella gestione di progetti software ha spesso come riferimento le metodologie agili nate in ambienti angloamericani. Questi approcci hanno portato valore, ma tendono a trasformarsi in schemi rigidi e poco adattabili alle reali dinamiche dei team. In Software Development Rhythms, il prof. Kim Man Lui e Wing Lam Chan propongono una prospettiva diversa, radicata nella cultura professionale cinese e basata sul concetto di ritmo organizzativo. L’idea centrale è che il ritmo emerga dalla sinergia tra pratiche diverse, armonizzate per diventare più efficaci insieme che separatamente. Il libro è strutturato in due parti: la prima introduce il concetto di ritmo e ne esplora le basi teoriche, la seconda mostra come combinarlo con approcci come Scrum, Lean, CMMI o TDD per risolvere problemi concreti. Il risultato è un testo accessibile, ricco di esempi e casi reali, che invita a riconsiderare lo sviluppo software come un processo da orchestrare, non solo da eseguire.
Dal Giappone un approccio integrato al Project Management: P2M
Viviamo immersi in un ecosistema manageriale dominato da modelli anglosassoni, spesso più attenti alla forma che alla sostanza. Manuali, slogan e metodologie “chiavi in mano” promettono risultati rapidi, ma trascurano la complessità e la profondità necessarie per trasformare davvero un’organizzazione. In questo contesto, ho scelto di esplorare prospettive non anglosassoni sul project management e sulla gestione della conoscenza. Il primo passo mi porta in Giappone, dove la Project Management Association of Japan ha sviluppato il P2M, un approccio che integra gestione dei programmi, innovazione strategica e capitalizzazione della conoscenza aziendale. Dopo aver consultato le risorse gratuite online, ho scoperto un modello che privilegia il valore sostenibile e la continuità operativa.
Furti di VIP e salvezza artificiale: chi ci crede davvero?
Un parallelo tra i furti improbabili ai danni di VIP in cerca di visibilità — come bagagli di lusso con gioielli e diamanti spariti sul treno oppure orologi da 200.000 euro persi dopo le vacanze — e le narrazioni utopistiche sull’intelligenza artificiale “benevola” che distribuirà ricchezza in modo equo. Entrambi i casi condividono lo stesso difetto: la sospensione del senso critico e l’accettazione di storie troppo perfette per essere vere. Con riferimenti ai lavori di Cathy O’Neil, Kate Crawford e Shoshana Zuboff, il testo invita a verificare, chiedere prove e diffidare delle narrazioni che promettono equità senza fornire basi concrete.
Il sapere negato. Donne, filosofia e la lunga storia dell’esclusione legittimata
Elena Cornaro, prima donna laureata in filosofia nel 1678, rappresenta un caso emblematico di sapere negato. La sua eccezionalità, anziché aprire un varco, servì a consolidare l’esclusione sistemica delle donne dalla trasmissione ufficiale del sapere. Il titolo le fu concesso, ma le fu negato ogni ruolo attivo. L’articolo ricostruisce una genealogia intellettuale di figure femminili — da Ipazia a Simone Weil — che furono ammesse al pensiero solo in forma marginale o silenziata. Un percorso critico attraverso la storia della filosofia e della cultura, dove la differenza sessuale ha agito come filtro implicito alla legittimazione del sapere.
Ontologie insorgenti. Città, codice e complessità oltre l’ordine moderno
Viviamo in un’epoca in cui l’ontologia – la domanda su ciò che esiste e conta – non è più dominio esclusivo della metafisica. Grazie a reti comunitarie, tecnologie accessibili e pratiche urbane distribuite, emergono nuovi modi di fare mondo. Ispirandosi alle riflessioni di John D. Barrow, questo articolo esplora il principio antropico come chiave per leggere non solo l’universo, ma anche città, codici e sistemi di governance. Le “leggi” che regolano l’esistenza non sono scoperte una volta per tutte, ma negoziate collettivamente, situate nei contesti. L’ontologia diventa un gesto progettuale: codificare condizioni di esistenza, proporre costanti locali, generare realtà vivibili. In questo senso, fare ontologia è oggi un atto radicale, creativo, profondamente politico.
Ontologia punk. Versioni del reale e sintesi radicali nella progettazione contemporanea
Questo articolo esplora l’ontologia come pratica critica e quotidiana, intrecciando filosofia, cultura cyberpunk e progettazione collaborativa. Non esistono dati puri: ogni realtà è una versione, una costruzione filtrata da scelte cognitive, tecniche e politiche. A partire da Kant, Yuk Hui, Mircea Florian e Franco Berardi, il testo mette in discussione l’apparente neutralità delle strutture operative e invita a riconoscere la portata ontologica di ogni atto progettuale. Ogni backlog, ogni sistema di permessi, ogni metrica è una dichiarazione implicita su ciò che è reale. Pensare ontologicamente oggi significa decostruire queste architetture e domandarsi a quale mondo valga davvero la pena adattarsi.
Macchine pensanti e pensiero umano: rileggere Louis Couffignal nell'era dell'intelligenza artificiale
Nel 1952, il matematico e ingegnere francese Louis Couffignal pubblicò un volume di dimensioni modeste ma dal titolo provocatorio: Les machines à penser. Un'espressione che, a distanza di oltre settant'anni, continua a interrogarci con rinnovata urgenza. Viviamo immersi in dispositivi che definiamo "intelligenti", eppure raramente ci soffermiamo a riflettere sul significato profondo del "pensare", né su quali aspetti di questa facoltà una macchina possa effettivamente replicare – o simulare.
Oltre l’egemonia: ripensare la coscienza a partire da altre culture (e da un’idea del limite)
In un tempo in cui la coscienza è ridotta a fenomeno misurabile e la vita umana a statistica computabile, questo saggio propone un cambio di prospettiva. Attraverso l’ascolto di voci filosofiche, scientifiche e poetiche non occidentali — dall’India al mondo arabo, dall’Africa all’America Latina — si interroga il concetto di coscienza come spazio etico e relazionale, irriducibile ai modelli algoritmici. Contro l’egemonia del pensiero tecnico-scientifico, l’articolo esplora le alternative culturali che restituiscono all’umano la possibilità di scegliere, disobbedire, proteggere. E invita a riconoscere il valore politico della coscienza come forma di resistenza.
Lasciate ogni competenza voi che entrate
In un’epoca in cui la complessità organizzativa paralizza l’azione, il metodo GE Work-Out si impone come strumento radicale e pragmatico per liberare energie e competenze. Nato all’interno di General Electric sotto la spinta di Jack Welch, questo approccio ha dimostrato come si possano abbattere burocrazie, accelerare le decisioni e valorizzare chi lavora “sul campo”. Il libro *The GE Work-Out*, scritto da tre dei suoi ideatori, racconta l’esperienza concreta di un cambiamento guidato dal basso, dove le persone propongono soluzioni e i manager decidono sul momento. Un modello ancora attuale per chi vuole rimettere al centro il sapere operativo e trasformare l’organizzazione in un organismo capace di agire, non solo di pianificare.
Figure del progetto #3 – Apprendere insieme: bisogni individuali e dinamiche collettive nella formazione contemporanea
In un’organizzazione, imparare non significa soltanto assorbire contenuti: è un’esperienza che coinvolge le persone, le loro motivazioni, il clima del gruppo. Ma cosa accade quando le dinamiche si incrinano, quando la motivazione cala e il percorso formativo sembra perdere efficacia? In questo articolo, con l’esperienza di Alessandra Grillo, entriamo nel cuore di queste dinamiche. Scopriremo come l’ascolto, la flessibilità progettuale e una leadership educativa attenta possano restituire senso al lavoro condiviso. Un viaggio nella formazione come spazio vivo, dove ogni equilibrio va costruito e ricostruito insieme, con cura e intelligenza.
Don Ferrante non basta. Dal pensiero relazionale di Riccardo Manzotti a un uso responsabile dei modelli linguistici.
Cosa distingue davvero l’intelligenza artificiale dalla coscienza umana? Partendo dalla teoria della Mind–Object Identity di Riccardo Manzotti, questo articolo propone una lettura critica dei modelli linguistici generativi come strumenti potenti ma non autonomi. Gli LLM predicono, non comprendono. Non sono cervelli alternativi, ma interfacce statistiche che vanno integrate in infrastrutture cognitive responsabili. Oltre l’entusiasmo e il negazionismo, la vera sfida è progettare un uso consapevole e tracciabile dell’IA, distinguendo prestazione linguistica da comprensione situata. Una riflessione per chi vuole pensare il digitale con rigore e senza scorciatoie.
Figure del progetto #2 – La meraviglia come strategia
Quando sentiamo parlare di design, pensiamo spesso a qualcosa di visivo, funzionale, magari elegante. Ma dietro ogni progetto ben fatto c’è molto di più: c’è un modo di osservare il mondo, di ascoltare le persone, di capire ciò che serve davvero. In questa conversazione, Frida Riolo ci accompagna dentro il suo lavoro quotidiano, dove la meraviglia, la sostenibilità e persino l’errore diventano strumenti di progetto. Partendo da un’esperienza concreta — la Fiera del Giocattolo di Norimberga — ci invita a guardare al design come a un gesto di attenzione, e forse anche di responsabilità verso il nostro tempo.
Quando un albero ci ricorda chi siamo
Nel libro Memorie di una Cipressa, Dionisio Pratelli affida a un albero il compito di raccontare la memoria collettiva di una Toscana contadina. Un’opera poetica e sobria che interroga il lettore sul senso del tempo, del linguaggio e del legame con la terra che ci ha preceduti.
Resilienza senza alibi: dal caos ritualizzato alla competenza collettiva
Resilienza nei team di progetto non è resistere agli urti, ma trasformare l’incertezza in conoscenza operativa. Provo a spiegare il mio punto di vista su come linguaggi, pratiche riflessive, regia temporale, leadership diffusa e sostenibilità organizzativa rendano un gruppo capace di apprendere mentre agisce. Dal caso software alla pubblica amministrazione, emerge un metodo per metabolizzare errori e vincoli, evitando la retorica “agile” senza sostanza. La resilienza diventa igiene del discorso, governo dei ritmi, cura dell’energia collettiva. Una critica al tecnicismo vuoto e alla resilienza di facciata chiude il quadro, con il suggerimento all'uso di metriche che misurino apprendimento, cooperazione e debito di resilienza permanente accumulato, per migliorare veramente.