NON CERCO LA VERITA': MI BASTA SMASCHERARE LE FINZIONI.

Mi occupo di conoscenza, linguaggio e delle forme che la tecnica assume per sembrare neutra.

Scrivo per fare domande, non per dare risposte.

Mi chiamo Fulcenzio Odussomai quando il metodo diventa maschera, e il dubbio, una forma di onestà.


Mutevolezza e potenza: il cambiamento come forma dell’essere

Viviamo immersi in una cultura che ha elevato la coerenza narrativa e la continuità logica a criteri supremi dell’identità, come se la stabilità fosse l’unico volto dell’autenticità. Eppure, la condizione umana, nella sua profondità ontologica, eccede questi confini artificiali. Ogni esistenza, se interrogata con sguardo fenomenologico, si rivela intessuta di fratture, discontinuità e metamorfosi — non come anomalie da correggere, ma come frammenti essenziali del suo disegno. Il cambiamento non contraddice l’identità: ne costituisce la premessa e la possibilità originaria.

L’identità come spazio dinamico: corpo, abitudine e coscienza incarnata

L’identità non è una statua di marmo. È piuttosto una corda tesa tra ciò che siamo stati e ciò che possiamo diventare, un sentiero che si costruisce camminando, una struttura aperta che si riadatta alle sollecitazioni dell’ambiente, alle ferite e alle scoperte interiori. Parlare di identità, oggi, significa resistere sia alla rigidità dei ruoli, sia al dissolversi liquido delle appartenenze. Significa riconoscere che siamo, simultaneamente, continuità e trasformazione.

Fare bene le cose. Tra chiarezza operativa e profondità interiore

Mi sono svegliato con una domanda che si è fatta largo, ostinata, nella quiete della mente. Cosa significa davvero fare bene le cose? Non si tratta soltanto di “impegnarsi” o di “mettercela tutta”. Queste sono condizioni necessarie, ma non sufficienti. Fare bene è un’altra cosa. È una disposizione, un metodo, una forma mentale. E, soprattutto, una responsabilità.

Dalla relazione alla qualità: comunicare il cambiamento come progetto

Eraclito scrive: «Nel medesimo fiume entriamo e non entriamo, siamo e non siamo»¹. La frase, apparentemente paradossale, offre una delle descrizioni più asciutte e radicali del reale: ogni cosa è attraversata dal mutamento, eppure questo mutamento non è disordine. È forma in divenire, una dinamica interna che segue un principio, un logos. Non siamo di fronte all’entropia, ma a un ordine che si esprime nel fluire.

Confini e contraddizioni: pensare e progettare nei sistemi complessi

Oltre l’ideologia dell’ordine. Nel mondo del business contemporaneo, la ricerca ossessiva di ordine, efficienza e replicabilità sta progressivamente minando la capacità delle organizzazioni di abitare la complessità. Ci siamo abituati a pensare che ogni problema abbia una soluzione standardizzata, preferibilmente scalabile, immediata, e accompagnata da un framework certificato. Tuttavia, è proprio nei momenti di transizione e trasformazione che i modelli prefabbricati mostrano i loro limiti. In questo scenario, concetti come "confine", "contesto" e "paradosso" diventano chiavi di lettura imprescindibili per chi vuole progettare, decidere e guidare con consapevolezza.

15 maggio. Il dovere di pesare le parole

Stamattina ho riaperto un libro digitale che avevo sfiorato giorni fa. Il titolo ancora mi parlava — Ipnocrazia. Un concetto affascinante, evocativo, carico di risonanze contemporanee. Rappresentava, in un certo senso, una sintesi delle mie inquietudini. L’avevo acquistato d’impulso, attratto dalla promessa di una riflessione sul potere ipnotico dell’informazione. In parte ci avevo creduto. In parte avevo voluto crederci. Mi sono accorto, però, che il problema non era il libro in sé, né il fatto che l’autore si sia rivelato una finzione, un’invenzione editoriale costruita tra intelligenze umane e artificiali. Il vero problema è che non mi ero fermato. Non avevo interrogato fino in fondo la fonte. Avevo lasciato che la plausibilità del testo, la sua coerenza stilistica, la sua forma accurata mi bastassero.

Pagina di diario — 18 maggio

La mente, per sua natura, tende al vagabondaggio. Oscilla tra l’ansia per ciò che potrebbe accadere e il rimpianto per ciò che è stato. Questo flusso continuo, se non riconosciuto, alimenta uno stato latente di stress, talvolta persino di alienazione. Praticare la mindfulness significa spezzare questo incantesimo: riportare dolcemente l’attenzione al momento presente, al respiro, a un suono, a una sensazione corporea. Una forma di vigilanza affettuosa, che non corregge, ma accoglie.

La lezione del tram. L'intelligenza umana nell'era dell'automazione assistita

A volte succede: su un tram qualunque, in coda all'ufficio postale, nel margine d'attesa che separa un impegno dal successivo, avvengono incontri che nessun algoritmo saprebbe orchestrare. Persone reali, lontane dai riflettori digitali e dal narcisismo da guru su LinkedIn, condividono pensieri non richiesti, osservazioni sgrammaticate ma autentiche, frammenti di vissuto capaci di smontare certezze. Non si tratta di conversazioni memorabili per stile o profondità, ma per la loro capacità di introdurre un dubbio fertile, un cambio di prospettiva. A ben vedere, è da queste crepe nel quotidiano che filtra la luce dell'apprendimento più umano: non riproducibile, non scalabile, ma trasformativo.

Neuroscienze del dissenso: verso una gestione cognitiva dei conflitti nei progetti complessi

Il conflitto, nei progetti, non è un’eccezione. È la norma. Non tanto nella forma esplosiva della lite, quanto nell’attrito silenzioso delle incomprensioni, nella frizione tra priorità divergenti, nei fraintendimenti tra ruoli e aspettative. Ogni progetto è un terreno attraversato da tensioni – culturali, emotive, cognitive – che si manifestano a più livelli: tra stakeholder, all’interno del team, nel rapporto con i clienti. Non è un male, ma un dato strutturale. La vera questione, allora, è come affrontare il dissenso in modo intelligente.

Architetture viventi: una prospettiva neurocibernetica sui microservizi e la complessità digitale

Questo studio esplora l'analogia tra i sistemi biologici, in particolare il cervello umano, e le architetture software moderne basate su microservizi. Attraverso un'analisi interdisciplinare che integra neurobiologia, cibernetica e ingegneria del software, si evidenzia come principi quali la modularità, la plasticità e l'omeostasi siano comuni a entrambi i domini. L'articolo propone una prospettiva innovativa per comprendere e progettare sistemi complessi, suggerendo che l'adozione di paradigmi ispirati alla biologia possa migliorare la resilienza e l'adattabilità delle architetture software.

Guerre di Dio. Una critica radicale al sacro che uccide (e al potere che esclude)

Nel cuore delle tre grandi religioni monoteiste — Ebraismo, Cristianesimo e Islam — la guerra non è soltanto un fenomeno storico o sociopolitico: è, non di rado, un fatto sacro. Un’azione che può essere comandata, giustificata, talvolta persino santificata da Dio. I testi fondativi — dalla Bibbia all’Ebraismo rabbinico, dal Nuovo Testamento alla teologia cristiana, dal Corano alla Sunna — narrano guerre combattute “in nome di Dio”, per la difesa della fede, l’obbedienza alla Legge, o la conquista di una terra promessa. Non guerre umane, dunque, ma guerre autorizzate, se non addirittura volute dal divino. E qui si apre una questione etica e politica di portata immane: che immagine di Dio ci consegnano queste guerre sacralizzate? Che Dio è un Dio che fa la guerra?

Virtute siderum tenus

Guardare le stelle non è solo un atto contemplativo. È un gesto di ricerca, una domanda silenziosa rivolta al cosmo e, al tempo stesso, a noi stessi.

Lavorare oggi: tra tecnica, distanza e comunità. Come il lavoro cambia nell’epoca dell’ibrido.

Una soglia da attraversare Oggi la linea tra vita e lavoro, tra tempo libero e tempo produttivo, è più sfumata che mai. Ma forse proprio questa incertezza può diventare un’opportunità. Ripensare il lavoro non come obbligo, ma come possibilità di fare qualcosa insieme che abbia senso. Un lavoro umano, non solo utile. Che cos’è oggi il lavoro? Dove avviene, con chi, attraverso quali strumenti? Sono domande che non possiamo più dare per scontate. Fino a pochi anni fa, il lavoro era associato a un luogo fisico – l’ufficio, la fabbrica, il negozio – e a un tempo preciso, scandito da orari e presenze. Oggi, tutto questo si è fatto più incerto. Il lavoro “ibrido”, cioè a metà tra presenza e distanza, è diventato la norma per molti. Ma cosa comporta davvero?

L'Illusione della giovinezza eterna

In questo nostro peregrinare attraverso le tortuosità del tempo digitale e le ambiguità del valore umano nel mercato del lavoro, forse non sarà inutile volgere lo sguardo a quelle voci che, attraverso i secoli, hanno saputo offrire un faro di lucidità e di serena fermezza. Tra queste, risplende con particolare intensità l'eco dei pensieri di Marco Aurelio Antonino, imperatore romano e filosofo stoico, raccolti nella sua opera immortale, "Le Meditazioni". Questo testo, lungi dall'essere un trattato sistematico, si presenta come un intimo dialogo che tocca le corde profonde dell'esistenza: la natura effimera delle cose terrene, l'importanza ineludibile della virtù come unico vero bene, la necessità di accettare con distacco ciò che non dipende dal nostro volere, e la preminenza della ragione come guida nel labirinto delle passioni e delle avversità.

Scritture invisibili. Epistemologie marginali e poteri della scrittura

Non vi è scrittura che non sia iscritta in un campo di forze. Ogni testo è al tempo stesso traccia e strategia: registra, insieme, un mondo e una posizione nel mondo. In questa prospettiva, la scrittura cessa di essere un semplice medium per diventare un dispositivo epistemologico, una tecnologia del pensiero, un luogo di lotta. Il presente saggio si propone di attraversare alcune faglie critiche che segnano la storia e la teoria della scrittura: dalla dimensione civica dell’alfabetizzazione occidentale alla calligrafia come esercizio trasformativo nella Cina classica; dalla grammatica del potere insita nelle narrazioni dominanti alla proliferazione di pratiche scrittorie marginali, silenziose, residuali. Ciò che unisce questi percorsi è l’intuizione che ogni regime discorsivo produce i propri esclusi, e che proprio questi esclusi – le scritture invisibili – possono costituire la soglia di un pensiero critico.

Rappresentazione cognitiva e inferenza contestuale nel project management del software

Il presente saggio propone un’integrazione tra neuroscienze cognitive e project management, con particolare riferimento ai progetti di sviluppo software. Superando i modelli lineari e ottimizzatori della decisione, si introduce la nozione di mappa cognitiva come strumento operativo per interpretare contesti complessi e ambigui. Attraverso l’analisi del ruolo delle cortecce prefrontali e dei sistemi dopaminergici, si ridefiniscono le categorie di valore, attenzione e apprendimento in chiave rappresentazionale e dialettica. L’obiettivo è fornire ai project manager un paradigma teorico alternativo, fondato su inferenza situata, plasticità cognitiva e costruzione condivisa del senso.

Creatività sistemica: tecniche di brainstorming per l’innovazione collaborativa

La creatività, troppo spesso considerata prerogativa dell’individuo geniale, è invece un processo sociale, situato e ricorsivo, che emerge da configurazioni ambientali, culturali e relazionali ben definite. In ambito organizzativo, la produzione di idee originali non può essere ridotta a un atto isolato, ma deve essere intesa come risultato di interazioni strutturate. Le tecniche di brainstorming costituiscono, in tal senso, uno dei dispositivi più rilevanti per la promozione dell’innovazione condivisa.

Il basilico del supermercato e il bollino delle competenze: critica radicale alla certificazione (di Project Manager) prefabbricata

Nell’industria della formazione professionale, il project management è ormai ridotto a una pratica di bollinatura. Ogni certificato rappresenta un pedaggio, ogni badge una tappa obbligata in un percorso che premia la conformità anziché la comprensione. Si apprende per superare un esame, non per risolvere un problema; si studia per accumulare crediti, non per costruire senso. La gestione dei progetti, in questa cornice, si trasforma in una liturgia burocratica che scambia la complessità del reale con la rassicurante semplicità di un framework prefabbricato. E così, come il basilico del supermercato, anche la competenza cresce in fretta ma muore altrettanto rapidamente.

Progetti come metamorfosi: epistemologia del cambiamento tra Kaizen, complessità e pratica organizzativa

Il presente contributo esplora una prospettiva epistemologicamente fondata e operativamente critica sul project management, superando l’approccio deterministico e prescrittivo dominante. Attraverso un confronto fra la filosofia Kaizen, la teoria della metamorfosi sociale (Beck), il pensiero sistemico (Senge) e la nozione di apprendimento situato, si propone una ridefinizione del progetto come spazio cognitivo aperto, non lineare e trasformativo. La progettualità viene qui intesa come processo evolutivo radicato nella pratica, nella riflessione e nella tensione etica, piuttosto che come dispositivo prestazionale. L’articolo si propone di restituire dignità teorica all’agire progettuale in condizioni di complessità e incertezza, risignificandolo come forma di apprendimento continuo e autocritico.