TESTI
FOMO: La Generazione Sull’Orlo della Crisi Cognitiva
FOMO, sigla dell'espressione inglese Fear Of Missing Out, può essere tradotta in italiano come "timore di essere esclusi" o "ansia di perdersi qualcosa di importante". Questo fenomeno psicologico, riconosciuto ufficialmente nel 2013 con l'inclusione nell'Oxford English Dictionary, ci induce a confrontare costantemente la nostra esistenza con quelle che osserviamo online, portandoci a domandarci se queste siano più stimolanti e appaganti della nostra. Si manifesta come un disturbo d'ansia sociale che spinge gli individui a voler rimanere perennemente aggiornati sulle attività altrui, alimentando il sospetto che gli altri stiano conducendo vite più soddisfacenti e ricche di esperienze. Non va confuso con la semplice invidia, ma rappresenta un'autentica condizione di preoccupazione che genera un bisogno ossessivo di monitorare i social network e le comunicazioni digitali, come meccanismo di difesa contro la sensazione di esclusione.
Alla ricerca del senso nascosto: Vincent Halles e l’arte di collegare i frammenti
Ho incontrato per caso Vincent Halles su Medium. I suoi scritti mi hanno subito colpito per un approccio che assomiglia al mio: la ricerca ossessiva di connessioni tra ciò che appare sconnesso. Come me, Halles non si limita a leggere o archiviare, ma attraversa testi, culture e discipline—da Fernando Pessoa a Westworld, da Deleuze alle parodie di videogiochi—per far emergere fili inaspettati. Per entrambi, l’incompiuto non è una mancanza, ma la traccia viva di un pensiero che si interroga, si corregge, si rimette in discussione. Giurista di formazione ma mosso da una curiosità senza confini, Halles dimostra che collegare l’apparentemente inconciliabile non è un esercizio intellettuale fine a sé stesso, ma un atto di resistenza culturale. In un’epoca dominata dall’efficienza algoritmica, il suo lavoro—e, per certi versi, anche il mio—ci ricorda che la ricchezza del pensiero sta proprio nelle esitazioni, nelle deviazioni, nella capacità di sbagliare e ricominciare. È questa vulnerabilità, questa umanità imperfetta, il cuore della sua ricerca e, in fondo, di ogni autentico processo creativo.
Chi governa l’AI (POV #02)
L’ascesa dell’intelligenza artificiale e il dominio delle piattaforme digitali riportano al centro una questione che non possiamo più permetterci di rinviare: chi comanda davvero nel XXI secolo? Gli Stati-nazione, con i loro confini, le loro istituzioni e le logiche di potere geopolitico? Oppure le corporation tecnologiche, che si muovono oltre ogni frontiera, accumulano dati e capitali, e definiscono di fatto le regole del gioco globale? È in questo spazio di frattura che si colloca il pensiero di due osservatori radicali: Yanis Varoufakis, l’economista che immagina un futuro post-capitalista, ed Evgeny Morozov, il critico implacabile della retorica tecno-utopista. Le loro analisi, pur diverse, convergono in un punto essenziale: la democrazia, così come l’abbiamo conosciuta, rischia di essere svuotata dall’interno. Non più erosa da ideologie antagoniste o da conflitti militari, ma da un nuovo polo di potere: il capitale digitale, che cresce indisturbato, invisibile e pervasivo.
Chi parla di "AI consapevole" non l'ha mai usata
Chi scrive di "AI consapevole" non ha mai generato nemmeno un'immagine. Lo so perché ho letto cosa scrivono. Solo belle parole su "agentività" e "autonomia controllata". Intanto chi l'AI la usa davvero sa che il problema è un altro.
Dal Pigmalione all’IA: quando il linguaggio plasma l’umano
E se la diffusione dell’IA generativa fosse l’esito di una scommessa sociale? La domanda non riguarderebbe la macchina, ma il modo in cui noi umani ci lasciamo trasformare dal suo linguaggio.
Chi ha paura dell'Intelligenza Artificiale?
L'acceso dibattito e confronto tra coloro che vedono nell'Intelligenza Artificiale (di seguito denominata Ai) una risorsa e quanti, all'opposto, la considerano una tecnologia pericolosa si ripropone ormai costantemente. Arricchendosi ogni volta di ulteriori elementi che guardano spesso alla casistica nota degli sviluppatori.
Intervista ImPossibile a Hannah Arendt (IIP #01)
Hannah Arendt (1906–1975) è stata una delle più importanti filosofe politiche del Novecento. Ebrea tedesca, allieva di Heidegger e Jaspers, dopo l’esilio negli Stati Uniti ha pubblicato opere fondamentali come Le origini del totalitarismo (1951) e La banalità del male (1963), che hanno cambiato il nostro modo di comprendere il potere, il male e la responsabilità individuale. La sua riflessione sulla fragilità della democrazia, sul linguaggio politico e sulla libertà rimane ancora oggi un riferimento imprescindibile. In questa “intervista impossibile” proviamo a immaginare cosa direbbe Arendt di fronte alle implicazioni dell’intelligenza artificiale.
Il lato umano dell’intelligenza artificiale: è tutta una questione di prospettiva
La Storia come Bussola: Dal Sogno di Turing alla Realtà dei Dati Se vogliamo capire dove stiamo andando, dobbiamo prima capire da dove veniamo. Il viaggio nel mondo dell’IA inizia con un sogno, quello di un uomo visionario: Alan Turing. Nel 1950, pose la prima pietra, chiedendosi se le macchine potessero pensare. Questo non era solo un quesito tecnico, ma una profonda domanda filosofica. Pochi anni dopo, John McCarthy diede un nome a questo sogno: “Intelligenza Artificiale”. Era l’alba di un’era, un’epoca in cui si pensava di poter insegnare alle macchine a ragionare usando la logica matematica. I primi risultati furono agrodolci: l’IA poteva batterci a dama, ma faticava con gli scacchi senza un database immenso di partite . Proprio come un bambino prodigio che eccelle in una materia ma non ha il senso comune. Esempi come la vittoria di Deep Blue sul campione mondiale di scacchi, che McCarthy stesso definì una “forma di imbroglio” e non vera intelligenza, ci insegnano che il successo di un’IA è spesso legato a un contesto molto specifico.
Potenza del computer e ragione umana: dal giudizio al calcolo
L'ignoranza su ciò che gli algoritmi basati sull'intelligenza artificiale possono effettivamente fare e, "l'idolatria informatica semplicistica e disinformata" in cui stiamo annegando, continueranno a influenzare la cognizione umana e il progresso senza ritorno se non fermiamo questa follia.
Perché abbiamo bisogno di studi post-disciplinari sull'intelligenza artificiale
Siamo di fronte a una scommessa e a una sfida epocali: ripensare l'intelligenza richiede di ripensare le architetture della conoscenza stessa.
Come svalutare tutto con un click
Ogni volta che pubblichi "Fatto in 5 minuti con l'AI, da qualche parte un creativo muore. Quella insopportabile e dilettantesca narrazione del "tutto veloce, tutto facile" che va tanto di moda sui social? È un autogol clamoroso e sta addestrando il mercato a non riconoscere il valore del lavoro. Ho scritto tutto quello che penso su questa storia nel mio ultimo articolo qui sotto.
L'intelligenza artificiale può creare qualcosa di nuovo?
Una riflessione sulla IA, coinvolgendo il pensiero del pensatore francese Alain Badiou.
La sfida della (auto)coscienza: intelligenza artificiale e produzione di senso
L'intelligenza artificiale contemporanea ci pone di fronte a interrogativi fondamentali sulla natura della mente e della coscienza. Dagli anni Ottanta, programmi come BACON di Langley, sviluppato per simulare la scoperta scientifica attraverso l'analisi di dati numerici, e SME (Structure-Mapping Engine) di Gentner, progettato per modellare il ragionamento analogico umano, hanno tentato di riprodurre computazionalmente funzioni cognitive complesse. Tuttavia, questi sistemi operano su rappresentazioni già strutturate, eludendo il problema cruciale di come la mente costruisca significato a partire dall'esperienza grezza. Questo articolo esplora l'ipotesi che l'autentica agenzia cognitiva richieda una funzione sintetica capace di unificare percezione e concettualizzazione sotto un'identità soggettiva. Attraverso l'analisi critica dei modelli computazionali attuali e il confronto con dispositivi meramente reattivi, argomento che il problema della coscienza artificiale non può essere risolto solo mediante l'incremento della sofisticazione algoritmica, ma necessita di un ripensamento radicale della natura stessa della soggettività e dell'esperienza cosciente.
On The Epistemological Barrier to a Science of (Artificial) Intelligence
Artificial intelligence is nonsense, so let us begin with a word on nonsense. In what follows, nonsense per se is not meant as equivalent to stupid, or silly. Rather, nonsense is a string of words that make no sense. What is said contains no meaning. An example of nonsense (by philosopher Peter Hacker): the number 3 married number 2 on planet number 2. What would lead to stupidity or silliness, however, was if someone were now to insist that it is intelligible that numbers can actually marry, and that they were engaged in scientific research that might prove this.
The AI Hype is a Dead Man Walking. The Math Finally Proves It.
For the past two years, the AI industry has been operating on a single, seductive promise: that if we just keep scaling our current models, we'll eventually arrive at AGI. A wave of new research, brilliantly summarized in a recent video analysis, has finally provided the mathematical proof that this promise is a lie.
L'asticella si è semplicemente spostata
Possiamo divincolarci. Possiamo piagnucolare. Possiamo temporeggiare, resistere, pattugliare e torcerci le mani davanti allo spettro dell'apocalisse. Ma nulla di tutto ciò cambia un fatto semplice e irreversibile:
Le competenze di lettura ravvicinata si trasferiscono all'intelligenza artificiale?
C'è stata, di recente, una raffica di proclami ben intenzionati sulle virtù inaspettate dell'educazione letteraria nell'era degli interlocutori algoritmici. Un eccellente pezzo di Nick Potkalitsky, PhD offre quello che potrebbe essere definito un riavvicinamento pedagogico tra le testualità disordinate della narrativa e la peculiare fluidità dell'IA generativa.
Genealogia dell’ecointelligenza: una ricerca tra cognizione, sistemi e potere
Questo articolo nasce da un percorso di ricerca personale sul concetto di ecointelligenza, intesa non come attitudine soggettiva ma come campo sistemico in trasformazione. Dalla psicologia cognitiva di Gardner alla pedagogia ecologica di Bowers, fino alla critica geopolitica dell’intelligenza artificiale in chiave postdigitale, il testo ripercorre le tappe di una riflessione che oggi trova nuovi campi di applicazione: IA ambientale, sorveglianza urbana, modelli cognitivi estrattivi. In questa prospettiva, l’ecointelligenza si configura come capacità di leggere ambienti ibridi, accettarne le contraddizioni e agire senza scorciatoie. In chiusura, si suggerisce la lettura di Le tre ecologie di Guattari, testo chiave per ripensare il rapporto tra ecologia, soggettività e potere.
Benedetta la benevola AGI: La favola del Re programmatore
𝐈𝐦𝐦𝐚𝐠𝐢𝐧𝐚𝐭𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨. Ti svegli e il mondo è finalmente cresciuto. Niente politici, niente corruzione, niente guerre. Un'intelligenza artificiale serena e onnisciente governa il nostro pianeta con incorruttibile chiarezza. L'assistenza sanitaria è impeccabile, l'allocazione delle risorse istantanea, il crimine previsto fuori dall'esistenza. Ogni obiettivo climatico è stato raggiunto prima del previsto. Le città ronzano in perfetto equilibrio; Il traffico scorre come la poesia, i bisogni dei cittadini vengono soddisfatti prima ancora che espressi.
Francesco Varanini vs Copilot
Francesco Varanini ci invita a leggere Debenedetti per ritrovare l’autore. Ma forse oggi dobbiamo leggere Barthes e Derrida per andare oltre. L’autore non è morto: si è trasformato. È diventato rete, algoritmo, collettivo. E il lettore non perde nulla: anzi, guadagna libertà, pluralità, nuove forme di dialogo. Un testo senza autore umano può essere valido, profondo, trasformativo. Perché il significato non nasce dalla penna, ma dall’incontro.”